Secondo la prospettiva strategica si parla di terapia indiretta qualora il destinatario dell’intervento non sia la persona seduta di fronte a noi.
Questo tipo di approccio ben si applica quando si deve intervenire su bambini piccoli o ragazzi difficili così da non etichettarli, salvo ragioni specifiche come potrebbe essere la presenza di un disturbo alimentare ad esempio. Tu genitore diventi i co-terapeuta, salvando il bambino dalla stigmatizzazione e diventano per lui punto di riferimento quando ha problemi. Trova anche la sua applicazione quando la persona non vuole venire in terapia perché pensa di non avere un problema o qualora sia talmente invalidata da non poter uscire di casa, oppure nel caso delle coppie quando un partner chiede aiuto per l’altro. Come diceva già Ippocrate: “Primum non nuocere”. Inoltre è molto più proficuo lavorare con i genitori e/o insegnanti, piuttosto che con un bambino o ragazzo problematico che potrebbe boicottare la terapia e rendere vano il nostro intervento.
Attraverso la terapia indiretta si cambiano le tentate soluzioni fallimentari delle persone coinvolte nel problema per cambiare quelle di chi presenta il disturbo.
Non è difficile lavorare in modo indiretto, è solo diverso, anzi talvolta è anche più semplice