Cos’è la sindrome dell’impostore: descrizione, cause e soluzioni

maschera

Quando si verifica la sindrome dell’impostore?

Questa sindrome si verifica ogni volta che una persona raggiunge un obiettivo significativo nella propria carriera, indipendentemente dal settore o dal ruolo.

Chi ne è colpito?

In passato, sembrava che questa sindrome riguardasse principalmente le donne di successo, ma ricerche recenti hanno dimostrato che colpisce trasversalmente uomini e donne. Circa l’82% della popolazione ha sperimentato o sta ancora vivendo questa sindrome.

Sintomi dell’impostore

I sintomi includono un senso di inadeguatezza rispetto ai compiti completati e la costante paura di essere scoperti. La sindrome dell’impostore spesso porta a depressione, ansia, insoddisfazione lavorativa e burnout.

Possiamo chiamarla diversamente?

L’esperienza dell’impostore può essere considerata un Super-Io freudiano che limita l’autostima. Tuttavia, ridenominarla potrebbe offrire nuove prospettive e soluzioni.

Soluzioni proposte

Jessica Vanderlan, PhD, propone sette strategie per affrontare la sindrome dell’impostore, tra cui apprendere dai fatti, condividere le emozioni, celebrare i successi, lasciare andare il perfezionismo, coltivare l’auto-compassione, condividere i propri fallimenti e accettare la sindrome come una parte normale dell’esperienza umana.

Una soluzione più semplice

Dalla mia esperienza clinica in psicoterapia, ho osservato che la soluzione alla sindrome dell’impostore può essere più semplice e meno impegnativa delle sette strategie proposte da Vanderlan.

Le persone affette da questo problema non solo si sentono indegne del successo, ma spesso respingono anche regali e complimenti. Invece di accettarli, tendono a giustificarsi, alimentando così il circolo vizioso della sindrome dell’impostore.

Una soluzione efficace è iniziare a dire “grazie” anziché attribuire il successo alla fortuna. Questo piccolo cambiamento nel linguaggio può interrompere il ciclo negativo e favorire una migliore autostima e fiducia in sé stessi.

Contattami se vuoi saperne di più e se ha trovato questo articolo interessante puoi anche leggere: essere single oggi

Bibliografia

Dena M. Bravata, et.al. “Prevalence, Predictors, and Treatment of Impostor Syndrome: a Systematic Review” J Gen Intern Med. 2020 Apr; 35(4): 1252–1275.

Clance PR, Imes SA. The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychother Theory Res Pract. 1978;15(3):241–7.

Hawley K. Feeling a Fraud? It’s not your fault! We can all work together against Imposter Syndrome [Internet]. 2016 [cited 2019 April 16] June 1, 2021 Vol. 52 No. 4  American psychological association

Wikipedia: Socrate “sapere di non sapere”

Scelta assoluta e dubbio ossessivo

dubbio ossessivo

Perchè la nostra mente ci inganna

L’altro giorno è successo un’evento che mi ha fatto riflettere. In sella alla mia moto stavo imboccando una rotonda, poco avanti a me una macchina. Ad un certo momento mentre questa stava per superare la prima uscita, decise di svoltare improvvisamente all’ultimo per prendere proprio quell’uscita. Fortuna, insieme alla mia attenzione, hanno permesso evitassi l’incidente. Immagino che una cosa simile sia successa a molti di voi e in varie situazioni. La riflessione non è stata la mia capacità di anticipare i possibili comportamenti altrui grazie anche ai tanti anni di aikido, ma cosa spinge le persone a pensare alla scelta assoluta figlia di un dubbio ossessivo.

Spiego meglio; in una rotonda, quindi un luogo in cui pur sbagliando uscita potrei girare in tondo a piacimento o almeno finché ho carburante, cosa spinge invece una persona a cambiare improvvisamente direzione nell’idea che se perdo quell’uscita non la possa più riprendere? Ecco questa è quella che io chiamo la scelta assoluta, un inganno della nostra mente.

Ebbene si, la nostra mente molto spesso ci inganna e la scelta assoluta rientra tra questi. Si rivolgono a me persone attanagliate dal dubbio. Si torturano, passano ore e giorni a cercare di “fare la scelta giusta” pensando erroneamente che una volta deciso, non si possa tornare più indietro, così come l’automobilista nella rotonda.

Tu puoi scegliere di cambiare, di decidere che quella cosa non va più bene, che quella situazione non ti piace più, decidere diversamente rispetto ad una tua abitudine sbagliata. Ti ritrovi quindi a girare all’infinito in questa rotonda, bloccato perchè vuoi scegliere la strada giusta rispetto a più scelte (dubbio ossessivo), oppure pur sapendo la strada non la imbocchi perchè pensi di non poter tornare indietro se mai lo farai.

Il risultato di questo processo mentale è che rimani bloccato in un limbo decisionale infinito, una versione moderna degli Ignavi nella Divina Commedia e parafrasando Dante “quelli che mai non fur vivi”, perchè molte volte non rischiano o non prendono posizione.

Ho appena elencato due modalità di dubbio ossessivo che ti impediscono di raggiungere i tuoi obiettivi o di vivere serenamente le tue scelte, grandi o piccole che siano. Sentirai spesso dire libera la mente, respira, etc. tutte tentate soluzioni che invece di risolvere il problema lo aumentano. La terapia breve strategica e i protocolli evoluti di soluzione dei principali problemi psicologici lo ha ben evidenziato. Grazie proprio a questa modalità di lavoro posso dirti che ci sono le soluzioni adatte a te per risolvere in tempi brevi questa tipologia di problema.

Per saperne di più chiamami o prenota un colloquio in uno dei miei studi di Padova e Rovigo.

Depressione: la spiegazione non sta nella serotonina

depressione e serotonina

In un articolo pubblicato a Luglio di quest’anno nella rivista Molucular Psychiatry, Moncrieff, J., Cooper, R.E., Stockmann, T. et al., hanno svolto un “umbrella review”, ovvero una meta-analisi di un largo numero di ricerche il cui argomento era la serotonina e la depressione.

Obiettivo della meta-analisi era verificare la teoria secondo cui serotonina e depressione sono strettamente correlate. Che ci fosse uno squilibrio del livello di serotonina dietro la depressione è stato suggerito per la prima volta nel 1960 da Coppen A., e pubblicato in The British Journal of Psychiatry. Intorno agli anni 90, con ricerche più specifiche, è stato poi introdotto un altro elemento. Fece la sua comparsa infatti l’inibitore selettivo della serotonina (SSRI), su cui poi saranno sviluppati i farmaci antidepressivi.

Sebbene la teoria che ci sia uno squilibrio chimico della serotonina a causa delle depressione sia stata recentemente messa in discussione, vedi “Serotonina e depressione” nel British Medical journal e “Il nuovo cervello della psichiatria e la leggenda dello squilibrio chimico” nel Psychiatric Times , essa mantiene ancora una certa forza. La si trova in molti libri di settore, se ne parla da così tanto tempo da diventare convinzione in gran parte della popolazione, ed è confermata dall’uso di antidepressivi, sia come azione all’apparenza diretta che come effetto placedo sulle emozioni.

Sono state prese in considerazione sei grandi aree come, presenza della serotonina nel sangue, ruolo dei recettori, fino ad arrivare alla genetica, per un totale di circa 20 ricerche le quali vantavano anche un copioso numero di soggetti sperimentali, circa 800 di media.

Scarse evidenze sperimentali della correlazione tra squilibrio della serotonina e depressione sono state trovate, così come debole è il ruolo della “genetica” nella depressione.

Il risultato rafforza l’idea che un disagio psicologico è di più che un semplice squilibrio chimico. Altri fattori intervengono come quelli personali, ambientali, sociali, nonché le tentate soluzioni disfunzionali che la persona adotta per risolvere il problema.

Il dato è confermato anche dal mio lavoro di psicoterapeuta breve strategico, oltre che da quello dei colleghi. Si rivolgono a me persone che con i farmaci non hanno risolto il problema anzi, generalmente i farmaci sul lungo termine lo alimentano perché anch’essi diventano una tentata soluzione disfunzionale.


Con ciò non voglio dire che le terapie farmacologiche siano inutili, ma che devono essere quantomeno abbinate ad una psicoterapia efficace.

La complessità della mente e delle nostre emozioni, mal si addice alla visione medica del tipo causa-effetto, ove tutto si spiega e si risolve tramite una molecola, senza tener in considerazione molti altri fattori.

Per maggiori informazioni o per fissare un colloquio presso uno dei miei studi di Padova o Rovigo contattami agli indirizzi che trovi sul sito.

Photovoice: la narrazione fotografica a favore del benessere mentale, fisico e di comunità

ansia superata con la fotografia

Stavo seguendo un workshop di crescita personale, e studio delle proprie percezioni ed emozioni, basato sull’autoritratto. Guardare e scegliere vecchie foto di famiglia era uno dei compiti assegnateci. Tutte le volte si guarda una foto, pur essendo l’ennesima volta, si possono cogliere particolari non visti primi. Questi poi, potranno suscitare altri ricordi e generare storie diverse .

Sono così corso in biblioteca alla ricerca delle pubblicazioni in merito agli usi terapeutici della fotografia imbattendomi in quel che viene chiamato “Photovoice”.

Cos’è Photovoice

Photovoice, temine inglese che tradotto letteralmente sarebbe “voce della foto”, è un progetto che mette insieme fotografia e narrazione. Pensato inizialmente come progetto per la comunità, è stato usato anche per aiutare il singolo individuo.

Gli obiettivi principali di Photovoice (Wang, 1999) sono tre: 

  1. rendere le persone capaci di valutare e riportare i punti di forza e di debolezza della propria comunità;
  2. promuovere un dialogo critico, un confronto e una conoscenza a proposito di punti importanti riguardanti la comunità attraverso piccoli o grandi gruppi di discussione;
  3. raggiungere chi fa le leggi

Secondo Wang (Wang, 1999) Photovoice è una via creativa, provocativa, e coinvolgente per comunicare alla società le esperienze di gruppi minori. Attraverso di esso si possono mettere in luce problematiche che vanno, dall’isolamento sociale, passando per la stigmatizzazione, finendo con la salute mentale e i problemi psicologi

Differenze con altri strumenti

Un altro punto fondamentale del Photovoice è il suo uso come strumento d’indagine. La sostanziale differenza con questionari, focus group, interviste, etc,, è il cambio di paradigma. Gli strumenti citati sono costruiti dal ricercatore le cui cose importanti non corrispondo necessariamente ai bisogni della comunità a cui si presenta. In Photovoice invece, è la persona che diventa esperta, oltre che la visione del problema dal suo punto di vista assume un’importanza fondamentale.

Photovoice è uno strumento che insegna a lavorare in gruppo, crea empowerment nelle persone che vi partecipano, riducono ansia, frustrazione e senso d’impotenza.

Il singolo invece può usarlo per descrivere la sua quotidianità, per vedere le sue ansie e problemi da un’altra angolazione e, grazie anche all’auto di un psicoterapeuta, ridefinire ciò che è emerso per risolvere i problemi in sospeso. 

Scrivimi se vuoi parlare di photovoice o vuoi fare un progetto.

Link:

Wang (1999);

Wang C, Burris M, Xiang Y. Chinese village women as visual anthropologists: a participatory approach to reaching policymakers. Soc Sci Med.1996;42:1391–1400. CrossrefMedlineGoogle Scholar

Wang C, Burris M. Photovoice: concept, methodology, and use for participatory needs assessment. Health Educ Behav.1997;24:369–387. CrossrefMedlineGoogle Scholar

Wu K, Burris M, Li V, et al., eds. Visual Voices: 100 Photographs of Village China by the Women of Yunnan Province. Yunnan, China: Yunnan People’s Publishing House; 1995. Google Scholar

Rimuginazione? Scopri come fermarla

Ti è mai successo un momento in cui hai cominciato a pensare a quella cosa in particolare e non ti sei più fermato? Poco importa la ragione per la quale tu debba fare una scelta, la tua mente fatica a trovare una via d’uscita e tu rimani vittima di questo groviglio che ti schiaccia. Spesso vengono chiamati pensieri ossessivi o ricorsivi.

Si è sempre chiamata ruminazione che sia fatta sul passato, presente o futuro e quando questa diventa così forte da ostacolare la vita di tutti i giorni, possiamo parlare di dubbio patologico. Questo si insinua piano piano come un tarlo nelle nostre menti diventando sempre più grande fino ad occuparle a tempo pieno così come afferma anche la dr.ssa Kati Morton.

Come afferma il dr. Brewer si tratta di un processo che poi diviene abitudine attraverso il meccanismo di ricompensa. Adattando la sua formulazione di abitudine al nostro problema abbiamo che: 

  1. fase d’innesco ovvero la scelta o comunque la possibilità di avere più opzioni per uno stesso evento
  2. fase di processamento di tutte le informazioni quando si vagliano tutte le opzioni disponibili e le loro sfaccettature 
  3. ricompensa ossia che il processamento che porta all’illusione della soluzione sembra far diminuire l’ansia legata appunto ad una scelta sbagliata

In realtà ciò che mantiene il tarlo è proprio il cercare la soluzione ideale, assoluta, perfetta che al momento pare far diminuire l’ansia invece la fa peggiorare ad ogni risposta successiva. I pensieri ossessivi sono alimentati dalle nostre riposte.

Il dr. Brewer, Mattu e Morton, hanno fornito alcuni passi per poter uscire da questo dilemma. Questi sono stati rivisti sulla base della mia esperienza e sull’esperienza con migliaia di casi presso il centro di terapia breve strategica inoltre ho aggiunto alcune delle cose da evitare per non peggiorare il problema:

  1. cercare di distrarsi: generalmente questa è una cosa da evitare perché il distrarsi, ovvero cercare di non pensare, ottiene l’effetto contrario se applicato a questa particolare categoria di problema. Andare a fare una passeggiata, leggere, etc. servono quando il dubbio non è così pervasivo.
  2. verbalizzare il dubbio con altri: altra soluzione d evitare perché certamente noi non rispondiamo, ma cercano di farlo gli altri. Oltre a non risolvere il problema lo fa peggiorare perché alla fine non saremmo convinti nemmeno delle loro risposte e cercheremo altre persone più “esperte” e via via così ripetendo la catena
  3. consapevolizzare la ricompensa: con ciò si intende la capacità di fermarsi quando ci si rende consapevoli di essere entrati in quel vortice e per fermarlo chiedersi quale ricompensa si ha se si continua in tal senso
  4. fermare i pensieri: questa è la tecnica in assoluto più efficace. Può prendere varie forme a seconda della persona che presenta il problema A volte quindi la strategia è quella di scrivere, altre usare una frase stop, perché la terapia breve strategica costruisce la terapia su misura invece che Setting precostituiti.

6 modi costruttivi su come punire i figli senza minare la loro autostima

Riporto questo articolo della Dr.ssa Amy Morin, psicoterapeuta e autrice del libro “13 Things mentally strong people don’t do

Avere disciplina con i figli non significa farli sentire sbagliati nei confronti di loro stessi. Le punizioni che fanno vergognare i figli sono anzi inutili. Queste dovrebbero insegnare che quello che è stato fatto è sbagliato, ma senza far sentire il bambino sbagliato per quel che è come persona. Per fare un esempio frasi come “ te l’avevo detto di stare attento, sei il solito incapace”, dicono molto su cosa bisognerebbe evitare di fare.

La disciplina da impartire ai figli è sempre un argomento scottante in famiglia

  1. Evitare etichette. Qui parliamo sia di quelle negative che di quelle positive, esempio “ecco il mio piccolo scienziato”. In questo modo il bambino potrebbe non perseguire i suoi interessi nella musica, magari essendoci anche più portato. Etichette negative ripetute come “sei il solito combina guai” altro non fa che creare una profezia che si autodetermina. Il bambino costruirà un’immagine di se che non farà altro che confermare tale affermazione (n.d.a).
  2. Separare il comportamento dalla persona. Noi dobbiamo punire il comportamento facendo comunque sentire che non è il bambino sbagliato diverso è quindi dire “sei un cattivo ragazzo” da “non è stata una buona scelta”
  3. Loda gli sforzi e non i risultati. Quando diciamo “bravo hai preso 10 oggi”, il ragazzo o la ragazza può pensare che per avere una tale attenzione debba sempre avere tale risultato. Potremmo invece dire “ho visto che ti sei impegnato molto per quel compito!” rafforzando così la loro autostima e la fiducia nelle loro capacità diminuendo l’ansia da prestazione.
  4. Facciamolo apprendere anziché punire. Una cattiva punizione è peggio che una non-punizione e in questo caso è meglio insegnare lui che ci sono delle conseguenze rispetto al suo comportamento, questo l’aiuterà ad evitare lo stesso errore nel futuro. Chiaramente l’insegnamento deve essere con un linguaggio e un modo adatti all’età altrimenti si corre il rischio che il bambino non capisca.

Altre indicazioni che aggiungo sulla base della mia esperienza:

  1. Le minacce devono essere portate a termine. Le minacce a vuoto, senza conseguenze sono assolutamente inutili perché creano nel bambino l’idea che nulla può succedere in conseguenza ad un determinato comportamento. In sostanza non sortiscono alcun effetto.
  2. Evitare di fare confronti. Dire “sei come…” o “hai visto gli altri che bravi che sono” è abbastanza frustrante per un bambino e lo mette in una condizione di sentirsi sbagliato non per quello che ha fatto, ma per com’è. I bambini sono unici e vanno aiutati ad esserlo, insegnando loro il modo più utile per diventarlo nel rispetto di sé e degli altri.

Autostima: 10 regole d’oro

Le strategie per incrementarla

L’autostima può essere definita come un sano rispetto di se stessi. In questo mondo altamente competitivo se ci confrontiamo non avendo chiari i nostri obiettivi, sogni e desideri possiamo perdere fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità.

La buona notizia è che la poca autostima è in gran parte un fenomeno appreso. I problemi di bassa autostima sono essenzialmente cattive abitudini nei nostri comportamenti, atteggiamenti e nella nostra comunicazione interpersonale (dialogo interiore). Si può quindi imparare nuovamente ad avere fiducia in noi stessi e accrescere così la nostra autostima.

Per fare un esempio curare il proprio corpo e il proprio vestiario, adattandolo alle proprie esigenze e personalità, ci fa sentire migliori. Importante qui non è il costo dell’abito, o altro accessorio, ciò che cambia è l’atteggiamento verso me stesso e verso gli altri. Di conseguenza i comportamenti adottati saranno il riflesso di quell’impostazione mentale che non faranno altro che aumentare la mia autostima e così via in un circolo virtuoso.

Nei casi in cui, nonostante abbiamo provato a migliorare la fiducia in noi stessi, questo non abbia avuto risultati avverarsi anche di un professionista psicoterapeuta che ci guidi verso il recupero dell’autostima è la scelta più utile per ottenere risultati efficaci ed efficienti.

Vediamo ora 10 regole o strategie per incrementare la nostra autostima:

  1. Come se: fai come se fossi già pieno di autostima. Fai ogni giorno una piccola cosa come se avessi raggiunto la tua autostima;
  2. Se hai avuto fiducia in te stesso una volta, ripeti quello che hai fatto;
  3. I punti di riferimento sono dentro di te e non in confronto ad altri;
  4. Trasforma i tuoi limiti in risorse;
  5. Essere perfetti significa interrompere un’evoluzione, quindi prediligi la crescita costante e il miglioramento;
  6. Agisci il tuo futuro anziché sognarlo;
  7. Evitare generalizzazioni: dire ho poca autostima significa tutto e niente! In quale ambito della tua vita hai poca autostima? Definire bene il settore migliora l’autostima in generale;
  8. Evitiamo di confrontarci solo con gli aspetti idealizzati delle altre persone, ad uno sguardo più attento potrebbe non essere tutto così meraviglioso;
  9. Dividi e conquista: l’obiettivo prefissato potrebbe essere grande, quindi il dividerlo in piccoli traguardi di più facile realizzazione rende noi stessi più fiduciosi e la nostra autostima crescerà;
  10. Prendi le distanze dai tuoi pensieri negativi: Quando i problemi di bassa autostima sono stati condizionati per molti anni, i modelli di pensiero negativo sono probabilmente automatici e veloci, fino a quando non li metti in pausa prestando loro attenzione. Il sé osservatore è un’utile risorsa psicologica che aiuta ad aumentare la consapevolezza in molte situazioni, ma alcune volte ci limita. Fermare quella catena di pensieri negativi è dare un stop al sé osservatore che fa il suo soliloquio conducendoci verso l’abisso è quanto di più utile possiamo fare per migliorare la nostra fiducia.