Cos’è la sindrome dell’impostore: descrizione, cause e soluzioni

maschera

Quando si verifica la sindrome dell’impostore?

Questa sindrome si verifica ogni volta che una persona raggiunge un obiettivo significativo nella propria carriera, indipendentemente dal settore o dal ruolo.

Chi ne è colpito?

In passato, sembrava che questa sindrome riguardasse principalmente le donne di successo, ma ricerche recenti hanno dimostrato che colpisce trasversalmente uomini e donne. Circa l’82% della popolazione ha sperimentato o sta ancora vivendo questa sindrome.

Sintomi dell’impostore

I sintomi includono un senso di inadeguatezza rispetto ai compiti completati e la costante paura di essere scoperti. La sindrome dell’impostore spesso porta a depressione, ansia, insoddisfazione lavorativa e burnout.

Possiamo chiamarla diversamente?

L’esperienza dell’impostore può essere considerata un Super-Io freudiano che limita l’autostima. Tuttavia, ridenominarla potrebbe offrire nuove prospettive e soluzioni.

Soluzioni proposte

Jessica Vanderlan, PhD, propone sette strategie per affrontare la sindrome dell’impostore, tra cui apprendere dai fatti, condividere le emozioni, celebrare i successi, lasciare andare il perfezionismo, coltivare l’auto-compassione, condividere i propri fallimenti e accettare la sindrome come una parte normale dell’esperienza umana.

Una soluzione più semplice

Dalla mia esperienza clinica in psicoterapia, ho osservato che la soluzione alla sindrome dell’impostore può essere più semplice e meno impegnativa delle sette strategie proposte da Vanderlan.

Le persone affette da questo problema non solo si sentono indegne del successo, ma spesso respingono anche regali e complimenti. Invece di accettarli, tendono a giustificarsi, alimentando così il circolo vizioso della sindrome dell’impostore.

Una soluzione efficace è iniziare a dire “grazie” anziché attribuire il successo alla fortuna. Questo piccolo cambiamento nel linguaggio può interrompere il ciclo negativo e favorire una migliore autostima e fiducia in sé stessi.

Contattami se vuoi saperne di più e se ha trovato questo articolo interessante puoi anche leggere: essere single oggi

Bibliografia

Dena M. Bravata, et.al. “Prevalence, Predictors, and Treatment of Impostor Syndrome: a Systematic Review” J Gen Intern Med. 2020 Apr; 35(4): 1252–1275.

Clance PR, Imes SA. The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychother Theory Res Pract. 1978;15(3):241–7.

Hawley K. Feeling a Fraud? It’s not your fault! We can all work together against Imposter Syndrome [Internet]. 2016 [cited 2019 April 16] June 1, 2021 Vol. 52 No. 4  American psychological association

Wikipedia: Socrate “sapere di non sapere”

Essere Single e psicoterapia: affrontare le sfide della vita da soli

numero uno che indica essere soli e single

Sempre più frequentemente, nel mio studio di psicoterapia, incontro persone che si trovano nella condizione di essere single. Essere single può essere il risultato di una varietà di situazioni, come una rottura, un tradimento o semplicemente la difficoltà nel trovare un partner con cui condividere la vita.

In questo articolo, ne seguiranno altri sul tema, ci concentreremo sulle persone che cercano attivamente una relazione, escludendo coloro che si definiscono “felicemente single” o che, come recentemente espresso da Emma Watson in un’intervista per British Vogue, si identificano come “self-partnered”, ovvero come partner di se stessi.

Essere single oggi

Essere single oggi solleva molte domande e riflessioni su cosa significhi culturalmente e come sia riflesso nella società contemporanea. I cambiamenti nelle strutture familiari, le variazioni culturali e l’empowerment individuale sono solo alcuni degli aspetti che vengono considerati.

Per capire meglio la portata di questa situazione, possiamo considerare alcuni dati. Secondo l’ultimo rapporto ISTAT, le persone single sono in numero maggiore rispetto alle famiglie, con una persona su tre che vive da sola. Ciò solleva una domanda importante: se le persone single sono così numerose, perché sempre più persone si rivolgono a professionisti come me per affrontare questo problema e perchè faticano a trovare una persona con cui condividere la vita?

Social media

I social media e l’iperconnettività digitale potrebbero offrire l’illusione di un’ampia disponibilità di potenziali partner, ma spesso la realtà è diversa. La ricerca di una connessione autentica e significativa può essere difficile in un mondo in cui le relazioni superficiali e le aspettative irrealistiche sono diffuse.

Soluzioni possibili

La psicoterapia può essere un prezioso alleato per le persone single che desiderano esplorare le loro esperienze e sentimenti legati alla singletudine. Offre uno spazio sicuro per esplorare i pensieri, le emozioni e i modelli di comportamento che possono influenzare la vita amorosa e le relazioni personali.

Attraverso la psicoterapia, è possibile sviluppare una maggiore consapevolezza di sé, imparare a gestire la solitudine in modo sano, affrontare eventuali blocchi emotivi o psicologici che possono ostacolare la ricerca di una relazione significativa e migliorare le capacità comunicative e relazionali.

Conclusioni

In conclusione, essere single non è necessariamente una condizione negativa, ma può comportare sfide emotive e sociali. La psicoterapia offre un sostegno prezioso per affrontare queste sfide, promuovendo la crescita personale e aiutando le persone single a vivere una vita soddisfacente e appagante, sia che trovino un partner romantico o che scelgano di continuare il proprio percorso da soli.

Contattami se vuoi saperne di più e se ha trovato questo articolo interessante puoi anche leggere: scelta o dubbio ossessivo?

Dena M. Bravata, MD, MS,1,2 Sharon A. Watts, MA,2,3 Autumn L. Keefer, PhD,2 Divya K. Madhusudhan, MPH,2 Katie T. Taylor, PhD,2,3 Dani M. Clark, BA,2,3 Ross S. Nelson, PsyD,2,4 Kevin O. Cokley, Ph.D.,5 and Heather K. Hagg, “Prevalence, Predictors, and Treatment of Impostor Syndrome: a Systematic Review” J Gen Intern Med. 2020 Apr; 35(4): 1252–1275. Published online 2019 Dec 17. doi: 10.1007/s11606-019-05364-1

Clance PR, Imes SA. The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychother Theory Res Pract. 1978;15(3):241–7. [Google Scholar]

Clance PR. The Impostor Phenomenon: When Success Makes You Feel Like a Fake. Atlanta: Peachtree Publishers; 1985. [Google Scholar]

Hawley K. Feeling a Fraud? It’s not your fault! We can all work together against Imposter Syndrome [Internet]. 2016 [cited 2019 April 16].

Vivere meglio: il progetto che promuove l’accesso alla psicoterapia

psicologo e psicoterapeuta

Aiuto per i disturbi mentali comuni

Oggi vi voglio parlare dell’iniziativa “Vivere Meglio”, già presentata a fine Settembre, da parte di ENPAP e fatta in collaborazione con diciannove università italiane con Padova come capofila. Eccovi l’elenco delle università:

TorinoGenovaMIlano “Cattolica”Milano “Bicocca”
BergamoPadovaBolognaFirenze
L’AquilaLecceRoma “La Sapienza”Roma “Cattolica”
CasertaFoggiaRoma “Europea”Napoli “Federico II”
PalermoCataniaSalerno

Vivere meglio” è infatti il nome del progetto che mira a ridurre il divario attuale che penalizza le persone economicamente svantaggiate che intendono avvalersi di uno psicologo e/o psicoterapeuta. Per la differenza dei ruoli si rimanda alla pagina del progetto al link oppure all’ordine nazionale psicologi.

Obiettivi

Obiettivi di interesse comune che il progetto si prefigge sono:

  • favorire l’accesso da parte della popolazione alle terapie psicologiche più adatte per i disturbi mentali;
  • fornire informazioni chiare, comprensibili ed aggiornate sulle caratteristiche dei disturbi mentali comuni e sul fatto che i trattamenti psicologici disponibili sono efficaci e spesso rappresentano la prima scelta;
  • sensibilizzare e motivare le persone, affette da questi disturbi o che presentano sintomi sottosoglia o che, comunque, vivono una condizione di crisi e di disagio psicologico, a intraprendere un percorso diagnostico e di trattamento;
  • ridurre lo stigma verso i disturbi e i trattamenti psicologici.

I disturbi mentali comuni di cui si parla sono ansia, nelle sue varie sfaccettature, e depressione. Questi sono aumentati del 25% dal 2019 ad oggi. Stress, solitudine, precarietà hanno contribuito alla limitazione della vita sociale e lavorativa. 

Il progetto intende coordinarsi, a più livelli, con le strutture del SSN e si pone in naturale linea di continuità con la “Consensus Conference sulle Terapie Psicologiche per Ansia e Depressione” che ha lo scopo di promuovere la diffusione degli interventi più efficaci per ansia e depressione.

Dove nasce

La “Consensus Conference sulle Terapie Psicologiche per Ansia e Depressione” (CC) definisce Terapie Psicologiche “tutte le terapie che utilizzano mezzi psichici per risolvere o ridurre i sintomi e il disagio associati ai disturbi d’ansia e depressivi” e ricorda che in Italia la psicoterapia è esercitabile esclusivamente dai professionisti, psicologi iscritti nell’apposito elenco previsto dall’art.3 della Legge 56/89. 

Vivere meglio si è sviluppato a partite dal IAPT (Improving Access to Psychological Therapies) inglese che al momento garantisce ad un milione di cittadini britannici assistenza psicologica qualificata e gratuita. L’impostazione è quella dello “stepped care” inglese. Con tale termine si definisce la gradualità dell’intervento che va dalla somministrazione di opuscoli per problemi non significativi ad una psicoterapia per disagi invalidanti.

Il sottoscritto ha aderito con il suo studio di Rovigo a questo progetto, pur essendo di  orientamento breve strategico, perchè ritengo che combattere lo stigma e aiutare le persone sia importante.

Prenota un appuntamento seguendo le indicazioni sul sito di “Vivere meglio”, oppure contattami per informazioni.

Scelta assoluta e dubbio ossessivo

dubbio ossessivo

Perchè la nostra mente ci inganna

L’altro giorno è successo un’evento che mi ha fatto riflettere. In sella alla mia moto stavo imboccando una rotonda, poco avanti a me una macchina. Ad un certo momento mentre questa stava per superare la prima uscita, decise di svoltare improvvisamente all’ultimo per prendere proprio quell’uscita. Fortuna, insieme alla mia attenzione, hanno permesso evitassi l’incidente. Immagino che una cosa simile sia successa a molti di voi e in varie situazioni. La riflessione non è stata la mia capacità di anticipare i possibili comportamenti altrui grazie anche ai tanti anni di aikido, ma cosa spinge le persone a pensare alla scelta assoluta figlia di un dubbio ossessivo.

Spiego meglio; in una rotonda, quindi un luogo in cui pur sbagliando uscita potrei girare in tondo a piacimento o almeno finché ho carburante, cosa spinge invece una persona a cambiare improvvisamente direzione nell’idea che se perdo quell’uscita non la possa più riprendere? Ecco questa è quella che io chiamo la scelta assoluta, un inganno della nostra mente.

Ebbene si, la nostra mente molto spesso ci inganna e la scelta assoluta rientra tra questi. Si rivolgono a me persone attanagliate dal dubbio. Si torturano, passano ore e giorni a cercare di “fare la scelta giusta” pensando erroneamente che una volta deciso, non si possa tornare più indietro, così come l’automobilista nella rotonda.

Tu puoi scegliere di cambiare, di decidere che quella cosa non va più bene, che quella situazione non ti piace più, decidere diversamente rispetto ad una tua abitudine sbagliata. Ti ritrovi quindi a girare all’infinito in questa rotonda, bloccato perchè vuoi scegliere la strada giusta rispetto a più scelte (dubbio ossessivo), oppure pur sapendo la strada non la imbocchi perchè pensi di non poter tornare indietro se mai lo farai.

Il risultato di questo processo mentale è che rimani bloccato in un limbo decisionale infinito, una versione moderna degli Ignavi nella Divina Commedia e parafrasando Dante “quelli che mai non fur vivi”, perchè molte volte non rischiano o non prendono posizione.

Ho appena elencato due modalità di dubbio ossessivo che ti impediscono di raggiungere i tuoi obiettivi o di vivere serenamente le tue scelte, grandi o piccole che siano. Sentirai spesso dire libera la mente, respira, etc. tutte tentate soluzioni che invece di risolvere il problema lo aumentano. La terapia breve strategica e i protocolli evoluti di soluzione dei principali problemi psicologici lo ha ben evidenziato. Grazie proprio a questa modalità di lavoro posso dirti che ci sono le soluzioni adatte a te per risolvere in tempi brevi questa tipologia di problema.

Per saperne di più chiamami o prenota un colloquio in uno dei miei studi di Padova e Rovigo.

Depressione: la spiegazione non sta nella serotonina

depressione e serotonina

In un articolo pubblicato a Luglio di quest’anno nella rivista Molucular Psychiatry, Moncrieff, J., Cooper, R.E., Stockmann, T. et al., hanno svolto un “umbrella review”, ovvero una meta-analisi di un largo numero di ricerche il cui argomento era la serotonina e la depressione.

Obiettivo della meta-analisi era verificare la teoria secondo cui serotonina e depressione sono strettamente correlate. Che ci fosse uno squilibrio del livello di serotonina dietro la depressione è stato suggerito per la prima volta nel 1960 da Coppen A., e pubblicato in The British Journal of Psychiatry. Intorno agli anni 90, con ricerche più specifiche, è stato poi introdotto un altro elemento. Fece la sua comparsa infatti l’inibitore selettivo della serotonina (SSRI), su cui poi saranno sviluppati i farmaci antidepressivi.

Sebbene la teoria che ci sia uno squilibrio chimico della serotonina a causa delle depressione sia stata recentemente messa in discussione, vedi “Serotonina e depressione” nel British Medical journal e “Il nuovo cervello della psichiatria e la leggenda dello squilibrio chimico” nel Psychiatric Times , essa mantiene ancora una certa forza. La si trova in molti libri di settore, se ne parla da così tanto tempo da diventare convinzione in gran parte della popolazione, ed è confermata dall’uso di antidepressivi, sia come azione all’apparenza diretta che come effetto placedo sulle emozioni.

Sono state prese in considerazione sei grandi aree come, presenza della serotonina nel sangue, ruolo dei recettori, fino ad arrivare alla genetica, per un totale di circa 20 ricerche le quali vantavano anche un copioso numero di soggetti sperimentali, circa 800 di media.

Scarse evidenze sperimentali della correlazione tra squilibrio della serotonina e depressione sono state trovate, così come debole è il ruolo della “genetica” nella depressione.

Il risultato rafforza l’idea che un disagio psicologico è di più che un semplice squilibrio chimico. Altri fattori intervengono come quelli personali, ambientali, sociali, nonché le tentate soluzioni disfunzionali che la persona adotta per risolvere il problema.

Il dato è confermato anche dal mio lavoro di psicoterapeuta breve strategico, oltre che da quello dei colleghi. Si rivolgono a me persone che con i farmaci non hanno risolto il problema anzi, generalmente i farmaci sul lungo termine lo alimentano perché anch’essi diventano una tentata soluzione disfunzionale.


Con ciò non voglio dire che le terapie farmacologiche siano inutili, ma che devono essere quantomeno abbinate ad una psicoterapia efficace.

La complessità della mente e delle nostre emozioni, mal si addice alla visione medica del tipo causa-effetto, ove tutto si spiega e si risolve tramite una molecola, senza tener in considerazione molti altri fattori.

Per maggiori informazioni o per fissare un colloquio presso uno dei miei studi di Padova o Rovigo contattami agli indirizzi che trovi sul sito.

Instagram Terapia? Facciamo chiarezza

instagram terapia

Riprendendo un vecchio articolo di Whitney Goodman in cui si parla di Instagram terapia, nell’era dei social media stiamo assistendo ad una rivoluzione per quando riguarda il campo della salute mentale. Sempre più psicologi e psicoterapeuti usano le piattaforme social per rendere le informazioni sulla salute mentale accessibili a chiunque oltre che per promuovere i propri servizi.

Svariati articoli hanno definito questo fenomeno come “instagram terapia” fuorviando così l’intento di molti psicologi e psicoterapeuti e rendendo confusi gli utenti.

In particolare Instagram è stato considerato negli studi il peggiore fra i social media. Porterebbe a immagini corporee negative, ansia, depressione e aumento degli episodi di bullismo per citarne alcuni.

Sembra un paradosso quindi, che psicologi e psicoterapueti lo stiano usando sempre più spesso.

Come tutti gli strumenti instagram non è intrinsecamente negativo, ma lo è piuttosto il nostro modo di fruirne così come dell’uso che facciamo delle informazioni in esso contenute.

Persone con scarse possibilità di accesso a informazioni sulla salute mentale, ora invece possono grazie proprio ai social media.  

Molte critiche sono state avanzate sull’uso di instagram sia fondate sulla realtà dei fatti, sia solo sulla paura. Piuttosto che cercare una ragione sulla presenza dei professionisti o meno, o sull’uso stesso del social media bene sarebbe, secondo la mia opinione, ridisegnare una mappa etica del loro uso. Ci sarebbero così delle linee guida che garantirebbero buona qualità e standard dei contenuti postati.

Possiamo notare comunque come già molti professionisti adottino una certa etica, grazie alla loro formazione ed esperienza professionale. Al contrario altri, precorrono i tempi, magari per paura di perdere folowers, e rischiano così di dare informazioni poco adattate al loro pubblico. Per non parlare poi di chi tratta temi di pertinenza dello psicologo senza averne titolo.

Le informazioni contenute nei post sono spesso generalizzate e non si possono adattare a tutte le persone, così come non c’è modo di sapere come l’altra persona interpreterà il nostro messaggio. Nostro compito è essere espliciti sul fatto che il consiglio che diamo o il problema di cui parliamo è di carattere generale e non sempre rispecchia la situazione in cui l’utente si trova.

Correttezza, onestà intellettuale, etica e rispetto delle persone che interagiscono con noi è ciò che dovremmo mettere nel momento in cui facciamo un post. Così come devono esser chiari i canali attraverso cui una persona ci può contattare. Il fine è quello di non trasformare situazioni di emergenza in tragici eventi perché mal gestite.

Come professionisti abbiamo ora la capacità di introdurre argomenti importanti su questa piattaforma, rendendo le persone più consapevoli, contrastando così anche la mala-informazione.

Instagram non sostituisce la terapia, ma può aiutare le persone

Vi lascio con alcuni consigli utili:

seguiamo solo persone che siano chiare nei loro intenti e con titoli certificati

facciamo sempre un’analisi critica dei contenuti

ricordiamo che i contenuti sono generalizzati e non sempre sono adatti a noi

instagram non è un sostituto della terapia e poco affidabile in caso di emergenza

se hai bisogno del terapista contattalo attraverso i canali formali

Ricorda che la riservatezza non è garantita su instagram

Per informazioni potete scrivere al mio indirizzo email: info@albertocastello.com

https://m.facebook.com/dralbertocastello

https://www.instagram.com/dralbertocastello/

Photovoice: la narrazione fotografica a favore del benessere mentale, fisico e di comunità

ansia superata con la fotografia

Stavo seguendo un workshop di crescita personale, e studio delle proprie percezioni ed emozioni, basato sull’autoritratto. Guardare e scegliere vecchie foto di famiglia era uno dei compiti assegnateci. Tutte le volte si guarda una foto, pur essendo l’ennesima volta, si possono cogliere particolari non visti primi. Questi poi, potranno suscitare altri ricordi e generare storie diverse .

Sono così corso in biblioteca alla ricerca delle pubblicazioni in merito agli usi terapeutici della fotografia imbattendomi in quel che viene chiamato “Photovoice”.

Cos’è Photovoice

Photovoice, temine inglese che tradotto letteralmente sarebbe “voce della foto”, è un progetto che mette insieme fotografia e narrazione. Pensato inizialmente come progetto per la comunità, è stato usato anche per aiutare il singolo individuo.

Gli obiettivi principali di Photovoice (Wang, 1999) sono tre: 

  1. rendere le persone capaci di valutare e riportare i punti di forza e di debolezza della propria comunità;
  2. promuovere un dialogo critico, un confronto e una conoscenza a proposito di punti importanti riguardanti la comunità attraverso piccoli o grandi gruppi di discussione;
  3. raggiungere chi fa le leggi

Secondo Wang (Wang, 1999) Photovoice è una via creativa, provocativa, e coinvolgente per comunicare alla società le esperienze di gruppi minori. Attraverso di esso si possono mettere in luce problematiche che vanno, dall’isolamento sociale, passando per la stigmatizzazione, finendo con la salute mentale e i problemi psicologi

Differenze con altri strumenti

Un altro punto fondamentale del Photovoice è il suo uso come strumento d’indagine. La sostanziale differenza con questionari, focus group, interviste, etc,, è il cambio di paradigma. Gli strumenti citati sono costruiti dal ricercatore le cui cose importanti non corrispondo necessariamente ai bisogni della comunità a cui si presenta. In Photovoice invece, è la persona che diventa esperta, oltre che la visione del problema dal suo punto di vista assume un’importanza fondamentale.

Photovoice è uno strumento che insegna a lavorare in gruppo, crea empowerment nelle persone che vi partecipano, riducono ansia, frustrazione e senso d’impotenza.

Il singolo invece può usarlo per descrivere la sua quotidianità, per vedere le sue ansie e problemi da un’altra angolazione e, grazie anche all’auto di un psicoterapeuta, ridefinire ciò che è emerso per risolvere i problemi in sospeso. 

Scrivimi se vuoi parlare di photovoice o vuoi fare un progetto.

Link:

Wang (1999);

Wang C, Burris M, Xiang Y. Chinese village women as visual anthropologists: a participatory approach to reaching policymakers. Soc Sci Med.1996;42:1391–1400. CrossrefMedlineGoogle Scholar

Wang C, Burris M. Photovoice: concept, methodology, and use for participatory needs assessment. Health Educ Behav.1997;24:369–387. CrossrefMedlineGoogle Scholar

Wu K, Burris M, Li V, et al., eds. Visual Voices: 100 Photographs of Village China by the Women of Yunnan Province. Yunnan, China: Yunnan People’s Publishing House; 1995. Google Scholar

Cosa succede quando abbiamo contrastanti informazioni sulla salute

informazioni contrastanti sulla salute tramite web o altri media

Vi voglio parlare di questo interessante articolo di Emily Reynolds pubblicato nel BPS Research Digest e che è in linea con quanto ho potuto notare nelle persone che si rivolgono a me per problematiche simili.

Oggi possiamo ottenere informazioni sulla salute da svariate fonti. Possiamo chiedere consiglio a conoscenti e amici, medici, giornali e riviste, guardare programmi televisivi. L’ultima via è quella di internet attraverso cui siamo in grado di diagnosticarci una malattia rara o presunta tale con conseguenti reazioni allarmanti di ansia e panico generale.

Fin qui tutto bene si fa per dire, ma cosa succede quando le informazioni che otteniamo sono tra loro contraddittorie e oggi più che mai ce ne accorgiamo?

Una prima risposta ci viene da una recente ricerca di Partrick V.B. et al., pubblicata nel Behavioral Medicine  (09/2021).

La ricerca

Ai due gruppi partecipanti veniva fatto leggere un articolo sui benefici dei cereali integrali. Un gruppo aveva l’articolo con tutti gli esperti in accordo sui benefici per la salute mentre nell’altro invece gli esperti erano in disaccordo tra loro su quei benefici. 

Successivamente gli stessi partecipanti furono sottoposti a dei test di attenzione. I risultati emersi per i soggetti con contrastanti informazioni sulla salute furono: 

  • meno accurati e veloci nel rispondere al compito del test
  • lamentavano di avere la testa troppo piena, ossia difficoltà a pensare ulteriormente
  • non sapevano più cosa fosse giusto
  • rifiuto di tutte le informazioni come contraccolpo

Tutto ciò ci suggerisce come avere informazioni discordanti oltre che l’information overloading, ossia l’eccesso di informazioni, blocchi la capacità di scelta anziché facilitarla. Abbiamo inoltre come aggravante la difficoltà a seguire le indicazioni e i consigli per la loro salute.

Un suggerimento che arriva dal team di ricerca agli operatori sanitari è quello di capire se la persona che hanno di fronte abbia questo tipo di confusione così da poter poi far chiarezza.

Personalmente aggiungo che per prima cominciare ad analizzare bene e con calma le informazioni, fonte, contesto, autore, etc. Seconda cosa dovremmo essere noi a limitare l’entrata di queste informazioni qualora dovessimo sentire questo senso di frustrazione così da non entrare in quel circolo vizioso ansiogeno della perenne ricerca della risposta esatta, ma che non esiste.

Studiare senza fatica: i sei modi per farlo

sei modi per studiare senza fatica

L’altro giorno stavo assaporavo il mio consueto caffè del mattino al solito bar vicino allo studio, quando alla radio parlarono della recente eruzione del vulcano alle Tonga. Per associazione mi tornò alla mente Pompei e cercai di ricordare la data o quantomeno il periodo, ma senza risultato. Perché non ricordavo? Eppure alla scuola media (secondaria di primo grado) ero molto bravo e mi bastava stare attento in classe per ricordare senza far fatica. Con il passare del tempo però le informazioni da immagazzinare erano aumentate e a quel punto la mia buona memoria non fu più sufficiente a farmi studiare meno e senza fatica. C’era bisogno quindi di un sistema per apprendere tutto quel materiale.

Fortunatamente la ricerca in psicologia ci ha fornito la risposta su come apprendere. Ecco i sei punti per studiare e rendere al meglio:

  1. Per prima cosa trovare un significato nel materiale è essenziale per l’apprendimento a lungo termine, così come descritto da Gray, Arnott-Hill e Benson, 2021 nel loro libro. (https://cod.pressbooks.pub/introductiontopsychologywinter21/).
  2. Elaborare il testo ovvero come li chiamo io fare “collegamenti elaborati”. Ripetere a pappagallo funziona solo se il test è a breve termine inoltre ci si concentra sulle parole anziché sul loro significato. Meglio invece trasformare ciò che leggi con parole tue così da rendere più concreto il concetto così come dimostrato da (Ratliff-Crain & Klopfleisch, 2005). (https://www.butler.edu/file/78319/download).
  3. Smettere di scrivere un altro libro. Ho visto molti miei compagni il cui significato di studiare era riscrivere praticamente interi capitoli per poi leggere il presunto riassunto e ripeterlo. Quanto tempo serve per fare tutto questo? Con la mole di lavoro che la scuola da da fare il tempo è prezioso. Il riassunto lo devo eventualmente fare io così come descritto al punto 2, invece che da una parte il libro e dall’altra il foglio su cui trascrivo.
  4. Smettere gli schemi se sono una mera traduzione simultanea dal libro al foglio, invece che un mio “collegamento elaborato”
  5. Altro metodo è collegarlo a conoscenze precedenti, oppure a fatti del presente. Esempio se penso al piano inclinato in fisica dinamica, per ricordare la formula faccio l’esperimento con una pallina che cade costruendo la formula proprio in quel momento.
  6. Selezionare il materiale. questo è forse la cosa più importante perché come detto prima non posso sottolineare o riassumere tutto il libro. Imparare a selezionare mi farà risparmiare tempo oltre che farmi apprendere meglio. Primo devo leggere tutto per uno sguardo generale, poi un seconda volta in cui seleziono solo le cose principali come se fosse un primo filtro. A questo punto scendo ancora applicando un altro filtro. Avrò così un sistema a radice simile ad uno dei famosi schemi. Il tutto ovviamente passa per i “collegamenti elaborati”.

Quello che insegno nel mio percorso è come adattare questi sei punti ad ognuno di noi per rendere più efficace il sistema e perdere così meno tempo.

Prova a dirmi anche tu come ti sei trovato nell’applicare questi principi!

Psicologia pop

psicologia popolare

La psicologia popolare come movimento che che parte dagli anni ’80

Che cos’è la psicologia popolare?

Come dice la parola stessa essa può essere definita come il tentativo di presentare idee, teorie, nuove scoperte psicologiche ad un vasto pubblico. La psicologia al pari di altri settori scientifici, ha proprie pubblicazioni specialistiche e con un linguaggio proprio della materia. La psicologia pop (pop-psychology o psicologia popolare) è il modo pensato per rendere più accessibili, accattivanti e utilizzabili le conoscenze derivanti dalle ricerche svolte in ambito accademico.

Classificare la psicologia pop non è cosa facile, ma possiamo distinguere due diversi generi principali. Nel primo abbiamo libri, video e media in generale scritti da accademici o da giornalisti scientifici, il cui scopo è informare il pubblico sulle nuove scoperte della psicologica scientifica. Esempi ne sono:

La mente che sente. A tu per tu: dialogando in vicinanza, nonostante tutto  scritto da Daniela Lucangeli docente dell’Università di Padova

Neuroscienze cognitive scritto da M.S. Gazzaniga, et al.

Neuro-mania scritto da Paolo Legrenzi Docente emerito, Carlo Umiltà

Disturbi del linguaggio e psichiatrici nel 20% dei bambini e ragazzi in “La Repubblica salute

secondo genere

Questo è molto diffuso. Vi rientrano infatti tutti gli aiuti pratici per affrontare le sfide quotidiane. Chi scrive in questo settore sono principalmente professionisti della psicologia che si tengono a distanza di sicurezza dalle ricerche sugli argomenti di cui parlano. Abbiamo un’enorme biblioteca in merito perché questo tipo di pubblicazioni mirano a renderci amanti migliori, partner e genitori più capaci. Parlano a quelli di noi che vogliono essere più felici, più magri, più in forma, più ricchi, più intelligenti, più sexy o più produttivi.

All’interno del settore in cui cerchiamo di migliorarci o di trovare sollievo ai nostri disagi mentali, che possiamo definire auto-aiuto (self-help) troviamo anche autori i quali non sono professionisti psicologi. Persone, che vanno dal manager di industria al guru della rete, parlano, scrivono fanno video, su tematiche attinenti alla scienza psicologica pur non avendo un background in materia, ma solo la loro, o di altri, esperienza di esseri umani. Un esempio è del primo tipo è “il manuale della felicità” di Raffaele Morelli, mentre il secondo Roberto Re e affini.

La linea di confine tra psicologia e auto-aiuto tout court

Non voglio entrare nella diatriba se questo sia giusto o meno, lasciando al lettore il compito di decidere cosa sia giusto o meno. A me solo il compito di ricordare che non tutto ciò che è passato come scientifico, che sembra il lavoro di un ricercatore, o che usi il gergo proprio della psicologia è tale. 

Jesse Singal, giornalista americano, nel suo libro “the quick fix” ha mostrato come alcune delle fantomatiche teorie della psicologia pop dagli anni 90 in poi avessero basi di ricerca fragili oppure avessero risultati dubbi quando furono replicate. 

Parafrasando H. von Hofmannsthal “tutto ciò che è creduto esiste e soltanto questo”