Vivere meglio: il progetto che promuove l’accesso alla psicoterapia

psicologo e psicoterapeuta

Aiuto per i disturbi mentali comuni

Oggi vi voglio parlare dell’iniziativa “Vivere Meglio”, già presentata a fine Settembre, da parte di ENPAP e fatta in collaborazione con diciannove università italiane con Padova come capofila. Eccovi l’elenco delle università:

TorinoGenovaMIlano “Cattolica”Milano “Bicocca”
BergamoPadovaBolognaFirenze
L’AquilaLecceRoma “La Sapienza”Roma “Cattolica”
CasertaFoggiaRoma “Europea”Napoli “Federico II”
PalermoCataniaSalerno

Vivere meglio” è infatti il nome del progetto che mira a ridurre il divario attuale che penalizza le persone economicamente svantaggiate che intendono avvalersi di uno psicologo e/o psicoterapeuta. Per la differenza dei ruoli si rimanda alla pagina del progetto al link oppure all’ordine nazionale psicologi.

Obiettivi

Obiettivi di interesse comune che il progetto si prefigge sono:

  • favorire l’accesso da parte della popolazione alle terapie psicologiche più adatte per i disturbi mentali;
  • fornire informazioni chiare, comprensibili ed aggiornate sulle caratteristiche dei disturbi mentali comuni e sul fatto che i trattamenti psicologici disponibili sono efficaci e spesso rappresentano la prima scelta;
  • sensibilizzare e motivare le persone, affette da questi disturbi o che presentano sintomi sottosoglia o che, comunque, vivono una condizione di crisi e di disagio psicologico, a intraprendere un percorso diagnostico e di trattamento;
  • ridurre lo stigma verso i disturbi e i trattamenti psicologici.

I disturbi mentali comuni di cui si parla sono ansia, nelle sue varie sfaccettature, e depressione. Questi sono aumentati del 25% dal 2019 ad oggi. Stress, solitudine, precarietà hanno contribuito alla limitazione della vita sociale e lavorativa. 

Il progetto intende coordinarsi, a più livelli, con le strutture del SSN e si pone in naturale linea di continuità con la “Consensus Conference sulle Terapie Psicologiche per Ansia e Depressione” che ha lo scopo di promuovere la diffusione degli interventi più efficaci per ansia e depressione.

Dove nasce

La “Consensus Conference sulle Terapie Psicologiche per Ansia e Depressione” (CC) definisce Terapie Psicologiche “tutte le terapie che utilizzano mezzi psichici per risolvere o ridurre i sintomi e il disagio associati ai disturbi d’ansia e depressivi” e ricorda che in Italia la psicoterapia è esercitabile esclusivamente dai professionisti, psicologi iscritti nell’apposito elenco previsto dall’art.3 della Legge 56/89. 

Vivere meglio si è sviluppato a partite dal IAPT (Improving Access to Psychological Therapies) inglese che al momento garantisce ad un milione di cittadini britannici assistenza psicologica qualificata e gratuita. L’impostazione è quella dello “stepped care” inglese. Con tale termine si definisce la gradualità dell’intervento che va dalla somministrazione di opuscoli per problemi non significativi ad una psicoterapia per disagi invalidanti.

Il sottoscritto ha aderito con il suo studio di Rovigo a questo progetto, pur essendo di  orientamento breve strategico, perchè ritengo che combattere lo stigma e aiutare le persone sia importante.

Prenota un appuntamento seguendo le indicazioni sul sito di “Vivere meglio”, oppure contattami per informazioni.

Scelta assoluta e dubbio ossessivo

dubbio ossessivo

Perchè la nostra mente ci inganna

L’altro giorno è successo un’evento che mi ha fatto riflettere. In sella alla mia moto stavo imboccando una rotonda, poco avanti a me una macchina. Ad un certo momento mentre questa stava per superare la prima uscita, decise di svoltare improvvisamente all’ultimo per prendere proprio quell’uscita. Fortuna, insieme alla mia attenzione, hanno permesso evitassi l’incidente. Immagino che una cosa simile sia successa a molti di voi e in varie situazioni. La riflessione non è stata la mia capacità di anticipare i possibili comportamenti altrui grazie anche ai tanti anni di aikido, ma cosa spinge le persone a pensare alla scelta assoluta figlia di un dubbio ossessivo.

Spiego meglio; in una rotonda, quindi un luogo in cui pur sbagliando uscita potrei girare in tondo a piacimento o almeno finché ho carburante, cosa spinge invece una persona a cambiare improvvisamente direzione nell’idea che se perdo quell’uscita non la possa più riprendere? Ecco questa è quella che io chiamo la scelta assoluta, un inganno della nostra mente.

Ebbene si, la nostra mente molto spesso ci inganna e la scelta assoluta rientra tra questi. Si rivolgono a me persone attanagliate dal dubbio. Si torturano, passano ore e giorni a cercare di “fare la scelta giusta” pensando erroneamente che una volta deciso, non si possa tornare più indietro, così come l’automobilista nella rotonda.

Tu puoi scegliere di cambiare, di decidere che quella cosa non va più bene, che quella situazione non ti piace più, decidere diversamente rispetto ad una tua abitudine sbagliata. Ti ritrovi quindi a girare all’infinito in questa rotonda, bloccato perchè vuoi scegliere la strada giusta rispetto a più scelte (dubbio ossessivo), oppure pur sapendo la strada non la imbocchi perchè pensi di non poter tornare indietro se mai lo farai.

Il risultato di questo processo mentale è che rimani bloccato in un limbo decisionale infinito, una versione moderna degli Ignavi nella Divina Commedia e parafrasando Dante “quelli che mai non fur vivi”, perchè molte volte non rischiano o non prendono posizione.

Ho appena elencato due modalità di dubbio ossessivo che ti impediscono di raggiungere i tuoi obiettivi o di vivere serenamente le tue scelte, grandi o piccole che siano. Sentirai spesso dire libera la mente, respira, etc. tutte tentate soluzioni che invece di risolvere il problema lo aumentano. La terapia breve strategica e i protocolli evoluti di soluzione dei principali problemi psicologici lo ha ben evidenziato. Grazie proprio a questa modalità di lavoro posso dirti che ci sono le soluzioni adatte a te per risolvere in tempi brevi questa tipologia di problema.

Per saperne di più chiamami o prenota un colloquio in uno dei miei studi di Padova e Rovigo.

Depressione: la spiegazione non sta nella serotonina

depressione e serotonina

In un articolo pubblicato a Luglio di quest’anno nella rivista Molucular Psychiatry, Moncrieff, J., Cooper, R.E., Stockmann, T. et al., hanno svolto un “umbrella review”, ovvero una meta-analisi di un largo numero di ricerche il cui argomento era la serotonina e la depressione.

Obiettivo della meta-analisi era verificare la teoria secondo cui serotonina e depressione sono strettamente correlate. Che ci fosse uno squilibrio del livello di serotonina dietro la depressione è stato suggerito per la prima volta nel 1960 da Coppen A., e pubblicato in The British Journal of Psychiatry. Intorno agli anni 90, con ricerche più specifiche, è stato poi introdotto un altro elemento. Fece la sua comparsa infatti l’inibitore selettivo della serotonina (SSRI), su cui poi saranno sviluppati i farmaci antidepressivi.

Sebbene la teoria che ci sia uno squilibrio chimico della serotonina a causa delle depressione sia stata recentemente messa in discussione, vedi “Serotonina e depressione” nel British Medical journal e “Il nuovo cervello della psichiatria e la leggenda dello squilibrio chimico” nel Psychiatric Times , essa mantiene ancora una certa forza. La si trova in molti libri di settore, se ne parla da così tanto tempo da diventare convinzione in gran parte della popolazione, ed è confermata dall’uso di antidepressivi, sia come azione all’apparenza diretta che come effetto placedo sulle emozioni.

Sono state prese in considerazione sei grandi aree come, presenza della serotonina nel sangue, ruolo dei recettori, fino ad arrivare alla genetica, per un totale di circa 20 ricerche le quali vantavano anche un copioso numero di soggetti sperimentali, circa 800 di media.

Scarse evidenze sperimentali della correlazione tra squilibrio della serotonina e depressione sono state trovate, così come debole è il ruolo della “genetica” nella depressione.

Il risultato rafforza l’idea che un disagio psicologico è di più che un semplice squilibrio chimico. Altri fattori intervengono come quelli personali, ambientali, sociali, nonché le tentate soluzioni disfunzionali che la persona adotta per risolvere il problema.

Il dato è confermato anche dal mio lavoro di psicoterapeuta breve strategico, oltre che da quello dei colleghi. Si rivolgono a me persone che con i farmaci non hanno risolto il problema anzi, generalmente i farmaci sul lungo termine lo alimentano perché anch’essi diventano una tentata soluzione disfunzionale.


Con ciò non voglio dire che le terapie farmacologiche siano inutili, ma che devono essere quantomeno abbinate ad una psicoterapia efficace.

La complessità della mente e delle nostre emozioni, mal si addice alla visione medica del tipo causa-effetto, ove tutto si spiega e si risolve tramite una molecola, senza tener in considerazione molti altri fattori.

Per maggiori informazioni o per fissare un colloquio presso uno dei miei studi di Padova o Rovigo contattami agli indirizzi che trovi sul sito.

Instagram Terapia? Facciamo chiarezza

instagram terapia

Riprendendo un vecchio articolo di Whitney Goodman in cui si parla di Instagram terapia, nell’era dei social media stiamo assistendo ad una rivoluzione per quando riguarda il campo della salute mentale. Sempre più psicologi e psicoterapeuti usano le piattaforme social per rendere le informazioni sulla salute mentale accessibili a chiunque oltre che per promuovere i propri servizi.

Svariati articoli hanno definito questo fenomeno come “instagram terapia” fuorviando così l’intento di molti psicologi e psicoterapeuti e rendendo confusi gli utenti.

In particolare Instagram è stato considerato negli studi il peggiore fra i social media. Porterebbe a immagini corporee negative, ansia, depressione e aumento degli episodi di bullismo per citarne alcuni.

Sembra un paradosso quindi, che psicologi e psicoterapueti lo stiano usando sempre più spesso.

Come tutti gli strumenti instagram non è intrinsecamente negativo, ma lo è piuttosto il nostro modo di fruirne così come dell’uso che facciamo delle informazioni in esso contenute.

Persone con scarse possibilità di accesso a informazioni sulla salute mentale, ora invece possono grazie proprio ai social media.  

Molte critiche sono state avanzate sull’uso di instagram sia fondate sulla realtà dei fatti, sia solo sulla paura. Piuttosto che cercare una ragione sulla presenza dei professionisti o meno, o sull’uso stesso del social media bene sarebbe, secondo la mia opinione, ridisegnare una mappa etica del loro uso. Ci sarebbero così delle linee guida che garantirebbero buona qualità e standard dei contenuti postati.

Possiamo notare comunque come già molti professionisti adottino una certa etica, grazie alla loro formazione ed esperienza professionale. Al contrario altri, precorrono i tempi, magari per paura di perdere folowers, e rischiano così di dare informazioni poco adattate al loro pubblico. Per non parlare poi di chi tratta temi di pertinenza dello psicologo senza averne titolo.

Le informazioni contenute nei post sono spesso generalizzate e non si possono adattare a tutte le persone, così come non c’è modo di sapere come l’altra persona interpreterà il nostro messaggio. Nostro compito è essere espliciti sul fatto che il consiglio che diamo o il problema di cui parliamo è di carattere generale e non sempre rispecchia la situazione in cui l’utente si trova.

Correttezza, onestà intellettuale, etica e rispetto delle persone che interagiscono con noi è ciò che dovremmo mettere nel momento in cui facciamo un post. Così come devono esser chiari i canali attraverso cui una persona ci può contattare. Il fine è quello di non trasformare situazioni di emergenza in tragici eventi perché mal gestite.

Come professionisti abbiamo ora la capacità di introdurre argomenti importanti su questa piattaforma, rendendo le persone più consapevoli, contrastando così anche la mala-informazione.

Instagram non sostituisce la terapia, ma può aiutare le persone

Vi lascio con alcuni consigli utili:

seguiamo solo persone che siano chiare nei loro intenti e con titoli certificati

facciamo sempre un’analisi critica dei contenuti

ricordiamo che i contenuti sono generalizzati e non sempre sono adatti a noi

instagram non è un sostituto della terapia e poco affidabile in caso di emergenza

se hai bisogno del terapista contattalo attraverso i canali formali

Ricorda che la riservatezza non è garantita su instagram

Per informazioni potete scrivere al mio indirizzo email: info@albertocastello.com

https://m.facebook.com/dralbertocastello

https://www.instagram.com/dralbertocastello/

Photovoice: la narrazione fotografica a favore del benessere mentale, fisico e di comunità

ansia superata con la fotografia

Stavo seguendo un workshop di crescita personale, e studio delle proprie percezioni ed emozioni, basato sull’autoritratto. Guardare e scegliere vecchie foto di famiglia era uno dei compiti assegnateci. Tutte le volte si guarda una foto, pur essendo l’ennesima volta, si possono cogliere particolari non visti primi. Questi poi, potranno suscitare altri ricordi e generare storie diverse .

Sono così corso in biblioteca alla ricerca delle pubblicazioni in merito agli usi terapeutici della fotografia imbattendomi in quel che viene chiamato “Photovoice”.

Cos’è Photovoice

Photovoice, temine inglese che tradotto letteralmente sarebbe “voce della foto”, è un progetto che mette insieme fotografia e narrazione. Pensato inizialmente come progetto per la comunità, è stato usato anche per aiutare il singolo individuo.

Gli obiettivi principali di Photovoice (Wang, 1999) sono tre: 

  1. rendere le persone capaci di valutare e riportare i punti di forza e di debolezza della propria comunità;
  2. promuovere un dialogo critico, un confronto e una conoscenza a proposito di punti importanti riguardanti la comunità attraverso piccoli o grandi gruppi di discussione;
  3. raggiungere chi fa le leggi

Secondo Wang (Wang, 1999) Photovoice è una via creativa, provocativa, e coinvolgente per comunicare alla società le esperienze di gruppi minori. Attraverso di esso si possono mettere in luce problematiche che vanno, dall’isolamento sociale, passando per la stigmatizzazione, finendo con la salute mentale e i problemi psicologi

Differenze con altri strumenti

Un altro punto fondamentale del Photovoice è il suo uso come strumento d’indagine. La sostanziale differenza con questionari, focus group, interviste, etc,, è il cambio di paradigma. Gli strumenti citati sono costruiti dal ricercatore le cui cose importanti non corrispondo necessariamente ai bisogni della comunità a cui si presenta. In Photovoice invece, è la persona che diventa esperta, oltre che la visione del problema dal suo punto di vista assume un’importanza fondamentale.

Photovoice è uno strumento che insegna a lavorare in gruppo, crea empowerment nelle persone che vi partecipano, riducono ansia, frustrazione e senso d’impotenza.

Il singolo invece può usarlo per descrivere la sua quotidianità, per vedere le sue ansie e problemi da un’altra angolazione e, grazie anche all’auto di un psicoterapeuta, ridefinire ciò che è emerso per risolvere i problemi in sospeso. 

Scrivimi se vuoi parlare di photovoice o vuoi fare un progetto.

Link:

Wang (1999);

Wang C, Burris M, Xiang Y. Chinese village women as visual anthropologists: a participatory approach to reaching policymakers. Soc Sci Med.1996;42:1391–1400. CrossrefMedlineGoogle Scholar

Wang C, Burris M. Photovoice: concept, methodology, and use for participatory needs assessment. Health Educ Behav.1997;24:369–387. CrossrefMedlineGoogle Scholar

Wu K, Burris M, Li V, et al., eds. Visual Voices: 100 Photographs of Village China by the Women of Yunnan Province. Yunnan, China: Yunnan People’s Publishing House; 1995. Google Scholar

Cosa succede quando abbiamo contrastanti informazioni sulla salute

informazioni contrastanti sulla salute tramite web o altri media

Vi voglio parlare di questo interessante articolo di Emily Reynolds pubblicato nel BPS Research Digest e che è in linea con quanto ho potuto notare nelle persone che si rivolgono a me per problematiche simili.

Oggi possiamo ottenere informazioni sulla salute da svariate fonti. Possiamo chiedere consiglio a conoscenti e amici, medici, giornali e riviste, guardare programmi televisivi. L’ultima via è quella di internet attraverso cui siamo in grado di diagnosticarci una malattia rara o presunta tale con conseguenti reazioni allarmanti di ansia e panico generale.

Fin qui tutto bene si fa per dire, ma cosa succede quando le informazioni che otteniamo sono tra loro contraddittorie e oggi più che mai ce ne accorgiamo?

Una prima risposta ci viene da una recente ricerca di Partrick V.B. et al., pubblicata nel Behavioral Medicine  (09/2021).

La ricerca

Ai due gruppi partecipanti veniva fatto leggere un articolo sui benefici dei cereali integrali. Un gruppo aveva l’articolo con tutti gli esperti in accordo sui benefici per la salute mentre nell’altro invece gli esperti erano in disaccordo tra loro su quei benefici. 

Successivamente gli stessi partecipanti furono sottoposti a dei test di attenzione. I risultati emersi per i soggetti con contrastanti informazioni sulla salute furono: 

  • meno accurati e veloci nel rispondere al compito del test
  • lamentavano di avere la testa troppo piena, ossia difficoltà a pensare ulteriormente
  • non sapevano più cosa fosse giusto
  • rifiuto di tutte le informazioni come contraccolpo

Tutto ciò ci suggerisce come avere informazioni discordanti oltre che l’information overloading, ossia l’eccesso di informazioni, blocchi la capacità di scelta anziché facilitarla. Abbiamo inoltre come aggravante la difficoltà a seguire le indicazioni e i consigli per la loro salute.

Un suggerimento che arriva dal team di ricerca agli operatori sanitari è quello di capire se la persona che hanno di fronte abbia questo tipo di confusione così da poter poi far chiarezza.

Personalmente aggiungo che per prima cominciare ad analizzare bene e con calma le informazioni, fonte, contesto, autore, etc. Seconda cosa dovremmo essere noi a limitare l’entrata di queste informazioni qualora dovessimo sentire questo senso di frustrazione così da non entrare in quel circolo vizioso ansiogeno della perenne ricerca della risposta esatta, ma che non esiste.

Studiare senza fatica: i sei modi per farlo

sei modi per studiare senza fatica

L’altro giorno stavo assaporavo il mio consueto caffè del mattino al solito bar vicino allo studio, quando alla radio parlarono della recente eruzione del vulcano alle Tonga. Per associazione mi tornò alla mente Pompei e cercai di ricordare la data o quantomeno il periodo, ma senza risultato. Perché non ricordavo? Eppure alla scuola media (secondaria di primo grado) ero molto bravo e mi bastava stare attento in classe per ricordare senza far fatica. Con il passare del tempo però le informazioni da immagazzinare erano aumentate e a quel punto la mia buona memoria non fu più sufficiente a farmi studiare meno e senza fatica. C’era bisogno quindi di un sistema per apprendere tutto quel materiale.

Fortunatamente la ricerca in psicologia ci ha fornito la risposta su come apprendere. Ecco i sei punti per studiare e rendere al meglio:

  1. Per prima cosa trovare un significato nel materiale è essenziale per l’apprendimento a lungo termine, così come descritto da Gray, Arnott-Hill e Benson, 2021 nel loro libro. (https://cod.pressbooks.pub/introductiontopsychologywinter21/).
  2. Elaborare il testo ovvero come li chiamo io fare “collegamenti elaborati”. Ripetere a pappagallo funziona solo se il test è a breve termine inoltre ci si concentra sulle parole anziché sul loro significato. Meglio invece trasformare ciò che leggi con parole tue così da rendere più concreto il concetto così come dimostrato da (Ratliff-Crain & Klopfleisch, 2005). (https://www.butler.edu/file/78319/download).
  3. Smettere di scrivere un altro libro. Ho visto molti miei compagni il cui significato di studiare era riscrivere praticamente interi capitoli per poi leggere il presunto riassunto e ripeterlo. Quanto tempo serve per fare tutto questo? Con la mole di lavoro che la scuola da da fare il tempo è prezioso. Il riassunto lo devo eventualmente fare io così come descritto al punto 2, invece che da una parte il libro e dall’altra il foglio su cui trascrivo.
  4. Smettere gli schemi se sono una mera traduzione simultanea dal libro al foglio, invece che un mio “collegamento elaborato”
  5. Altro metodo è collegarlo a conoscenze precedenti, oppure a fatti del presente. Esempio se penso al piano inclinato in fisica dinamica, per ricordare la formula faccio l’esperimento con una pallina che cade costruendo la formula proprio in quel momento.
  6. Selezionare il materiale. questo è forse la cosa più importante perché come detto prima non posso sottolineare o riassumere tutto il libro. Imparare a selezionare mi farà risparmiare tempo oltre che farmi apprendere meglio. Primo devo leggere tutto per uno sguardo generale, poi un seconda volta in cui seleziono solo le cose principali come se fosse un primo filtro. A questo punto scendo ancora applicando un altro filtro. Avrò così un sistema a radice simile ad uno dei famosi schemi. Il tutto ovviamente passa per i “collegamenti elaborati”.

Quello che insegno nel mio percorso è come adattare questi sei punti ad ognuno di noi per rendere più efficace il sistema e perdere così meno tempo.

Prova a dirmi anche tu come ti sei trovato nell’applicare questi principi!

Psicologia pop

psicologia popolare

La psicologia popolare come movimento che che parte dagli anni ’80

Che cos’è la psicologia popolare?

Come dice la parola stessa essa può essere definita come il tentativo di presentare idee, teorie, nuove scoperte psicologiche ad un vasto pubblico. La psicologia al pari di altri settori scientifici, ha proprie pubblicazioni specialistiche e con un linguaggio proprio della materia. La psicologia pop (pop-psychology o psicologia popolare) è il modo pensato per rendere più accessibili, accattivanti e utilizzabili le conoscenze derivanti dalle ricerche svolte in ambito accademico.

Classificare la psicologia pop non è cosa facile, ma possiamo distinguere due diversi generi principali. Nel primo abbiamo libri, video e media in generale scritti da accademici o da giornalisti scientifici, il cui scopo è informare il pubblico sulle nuove scoperte della psicologica scientifica. Esempi ne sono:

La mente che sente. A tu per tu: dialogando in vicinanza, nonostante tutto  scritto da Daniela Lucangeli docente dell’Università di Padova

Neuroscienze cognitive scritto da M.S. Gazzaniga, et al.

Neuro-mania scritto da Paolo Legrenzi Docente emerito, Carlo Umiltà

Disturbi del linguaggio e psichiatrici nel 20% dei bambini e ragazzi in “La Repubblica salute

secondo genere

Questo è molto diffuso. Vi rientrano infatti tutti gli aiuti pratici per affrontare le sfide quotidiane. Chi scrive in questo settore sono principalmente professionisti della psicologia che si tengono a distanza di sicurezza dalle ricerche sugli argomenti di cui parlano. Abbiamo un’enorme biblioteca in merito perché questo tipo di pubblicazioni mirano a renderci amanti migliori, partner e genitori più capaci. Parlano a quelli di noi che vogliono essere più felici, più magri, più in forma, più ricchi, più intelligenti, più sexy o più produttivi.

All’interno del settore in cui cerchiamo di migliorarci o di trovare sollievo ai nostri disagi mentali, che possiamo definire auto-aiuto (self-help) troviamo anche autori i quali non sono professionisti psicologi. Persone, che vanno dal manager di industria al guru della rete, parlano, scrivono fanno video, su tematiche attinenti alla scienza psicologica pur non avendo un background in materia, ma solo la loro, o di altri, esperienza di esseri umani. Un esempio è del primo tipo è “il manuale della felicità” di Raffaele Morelli, mentre il secondo Roberto Re e affini.

La linea di confine tra psicologia e auto-aiuto tout court

Non voglio entrare nella diatriba se questo sia giusto o meno, lasciando al lettore il compito di decidere cosa sia giusto o meno. A me solo il compito di ricordare che non tutto ciò che è passato come scientifico, che sembra il lavoro di un ricercatore, o che usi il gergo proprio della psicologia è tale. 

Jesse Singal, giornalista americano, nel suo libro “the quick fix” ha mostrato come alcune delle fantomatiche teorie della psicologia pop dagli anni 90 in poi avessero basi di ricerca fragili oppure avessero risultati dubbi quando furono replicate. 

Parafrasando H. von Hofmannsthal “tutto ciò che è creduto esiste e soltanto questo”

Quando la ricerca della felicità ti si ritorce contro

la ricerca della felicità

Impariamo come inseguirla per non farsi intossicare

Continua la mia serie di articoli sulla “positività” , in questo caso sulla felicità e sulla “pop-psychology” di cui invece parlerò in futuro.

Contesto attuale

La corrente sulla “positività” ha ovviamente creato l’illusione che attraverso il pensare positivo si potessero risolvere tutti i problemi. In alcuni casi invece li ha creati, si sta parlando così di “positività tossica”. Sentirsi felici è una buona cosa, ma enfatizzare eccessivamente l’importanza di un atteggiamento positivo può ritorcersi contro, portando paradossalmente a sentirsi infelici.

Le ultime ricerche del gruppo mostrano che le persone più felici tendono a vivere più a lungo, a essere più sane e a godersi una vita di maggior successo. Fra queste “i molto felici” hanno più di vantaggi dei “mediamente felici”. La ricerca mostra anche come se perseguita in certi modi, la felicità o la positività possono diventare tossiche.

La ricerca, pubblicata su The Journal of Positive Psychology  da Ashley Humphreya, Rebecca Szoka e Brock Bastiane che ha coinvolto quasi 500 persone, è stata ispirata da questi risultati apparentemente incoerenti: perseguire la felicità può essere sia positivo che negativo per il nostro benessere. Il loro scopo era trovare ciò che trasforma la positività da salutare in tossica.

Aspettarsi il meglio, sentirsi peggio

Se attribuiamo un valore troppo elevato alla nostra felicità, soprattutto nei contesti in cui dovremmo sentirci felici, porta ad un minore intensità di questo stato. Spesso poi rimaniamo delusi e ci colpevolizziamo aggiungendo così sentimenti di tristezza.

Riporto la frase di una vignetta di Randy Glasbergen che raffigura un paziente che si confessa al suo psicologo:

“Sono molto, molto felice, ma voglio essere molto, molto, molto felice, ed è per questo che sono infelice”

Quindi che fare? Dare priorità alla nostra felicità futura invece che momentanea così da sperimentare miglioramenti invece che deficit. Tradotto in fatti significa impegnarsi in attività che hanno un senso per noi, così che la felicità arrivi indirettamente e non sia l’obiettivo primario di ciò che facciamo.

Valorizzare la felicità vs dare priorità alla positività

La ricerca della dr.ssa Hashley e colleghi per ottenere una migliore comprensione di ciò che rende la positività tossica hanno confrontato due approcci: valutare la felicità e dare priorità alla positività.

Alcune affermazioni sul valore della felicità erano: “Sono preoccupato per la mia felicità anche quando mi sento felice” o “Se non mi sento felice, forse c’è qualcosa che non va in me”.

Nella colonna della priorità alla positività c’erano frasi come “Strutturo la mia giornata per massimizzare la mia felicità” o “Cerco e coltivo le mie emozioni positive”.

I ricercatori hanno infine anche incluso una misura del disagio che le persone hanno con le proprie emozioni negative. Per fare ciò sono state introdotte affermazioni come “Mi vedo fallire nella vita quando mi sento depresso o ansioso” o “Mi piaccio meno quando mi sento depresso o ansioso”.

I risultati

Chi ottenne un punteggio alto nel valutare la felicità (aspettativa di felicità) viveva le emozioni negative rifiutandole e come un segno di fallimento nella vita e non. In parte questa era anche la ragione per cui queste persone avevano livelli di benessere inferiori. Le persone invece che si focalizzavano sulla positività delle piccole cose quotidiane (punteggio alto sulla scala priorità della positività), erano più inclini ad accettare le loro emozioni negative.

Cercare di mantenere alti livelli di felicità per tutto il tempo è quello che dovremmo evitare di fare. La miglior cosa è apprezzare appunto le piccole cose quotidiane e pensare alla felicità futura. Potremmo scrivere il nostro diario delle belle cose quotidiane.

Cosa rende tossica la positività quindi?

Atteggiamento, o per dirla diversamente la nostra reazione ai fatti è la chiave per evitare di rendere tossica la positività. La cosa importante quindi non è cosa ci accade, ma cosa facciamo con ciò che ci accade.

Parafrasando un grande scrittore Haruki Murakami “l’evento negativo è inevitabile, ma soffrire per esso è opzionale”

Se la ricerca della felicità costante è come una linea infinita, l’evento negativo è ciò che interrompe questa continuità e ci fa sembrare il nostro obiettivo più lontano e di conseguenza siamo più delusi. 

Soluzioni

Impariamo a rispondere piuttosto che reagire alle emozioni è un fattore chiave per la nostra felicità. Possiamo scappare o tentare di ridurre un dolore o un sentimento negativo, ma poco serve.

La chiave è invece chiederci come possiamo utilizzare ciò che sta accadendo a nostro favore. 

Questa semplice domanda permette di aumentare la nostra comprensione degli stati emotivi e reagirvi così in modo più proficuo e utile al nostro benessere.

Come avere successo: 5 strategie per rimuovere gli ostacoli

cinque modi per avere successo
Essere ottimisti è facile quando tutto va per il verso giusto

Vediamo quindi cinque strategie per annientare i possibili ostacoli e avere successo:

Dialogo interiore

Ripeto qui quando detto in un mio articolo precedente in cui parlo della ruminazione e di come fermarla e chi si è ritrovato nel vortice di questi pensieri conosce ciò di cui sto parlando. In quei momenti pensiamo solo che andrà tutto male e cadremo ancor di più in disgrazia. La cosa più efficace che possiamo fare è evitare un dialogo interiore negativo smettendo di rispondere alle assurde domande che poniamo a noi stesse. Evitiamo quindi di ingannare in modo maldestro la nostra mente cercando di pensare positivo così come vuole una corrente di pensiero statunitense in voga, ma piuttosto fermiamola.

“Volere” al posto di “non volere” 

Di solito cerchiamo di evitare le cose spiacevoli invece che puntare a ciò che vogliamo. I nostri pensieri sono focalizzati sul “non volere”, non voglio che il colloquio vada male, non voglio restare senza soldi, non voglio che il collega mi scavalchi, etc. In questo modo siamo sotto scacco della paura costantemente con l’ansia alle stelle. Dobbiamo spostare il nostro il nostro fuoco sul volere, sul successo, e per facilitare le cose dovremmo concentrarci su di un piccolo obiettivo. In questo modo il suo raggiungimento aumenta la nostra fiducia creando così un circolo virtuoso.

Smettere di lamentarsi

Questa è una variante del punto uno e due, si potrebbe dire che è un camuffamento che la nostra mente adotta per perpetuare il dialogo interiore e la paura. Da un lato ci fa sentire bene, perché il lamento in generale è rivolto all’esterno, esempio non c’è più mercato per questa mia idea, nessuno vuole questa cosa anche se l’ho presentata a tutti, etc,. Dall’altro lato ci fa cadere ancor di più nel pessimismo perché il lamento è rivolto all’interno, un esempio su tutti “io non valgo”. Detto questo viene da se la strategia e se abbiamo bisogno rileggiamo il punto uno e due.

Social comsuming? Keep calm and don’t scroll

Altro punto fondamentale è quello che io chiamo “social consuming”. Questo appetito per i social, con algoritmi che ci tengono incollati agli schermi, e che ci fanno vedere proprio quello che noi non siamo, tutto il loro successo mentre noi..il che ci porta ancora a riverberare quanto detto al punto 2 sopra. Rimando la discussione sulla distorsione creata dai social in un altro articolo. Ogni cosa che ingeriamo va assunta con parsimonia e vale lo stesso per ciò che assorbiamo attraverso i vari Facebook, Instagram o TikTok.

Gratitudine

Un altro modo per combattere il lamento è esser grati. A livello comportamentale siamo una specie molto attenta alle minacce. Questo focalizzarsi sulle cose negative, utile per la nostra salvezza come primati, governa le nostre giornate. La gratitudine quindi è all’inizio un comportamento intenzionale che richiede la nostra attenzione e costanza. Un esercizio che consiglio ai miei clienti è di adottare il “diario della gratitudine”. Alla sera, ci si prende il tempo per scrivere le cose per cui essere grati nella giornata pensando anche e soprattutto alle piccole cose.